Il report della dott.ssa Pluffa
1° giorno – partenza e arrivo
DOMENICA 24 APRILE 2016
Mi sveglio alle 5.00 con la voce di Red che mi dice: “Buongiorno! E’ un nuovo giorno e oggi è iniziato fottutamente presto!”E’ vero, penso, è fottutamente presto. E’ fottutamente presto per andare in una missione in Bielorussia. Mi sento piccola e impreparata. Cosa aspettarmi? A cosa essere pronta? E se non fossi in grado di portare lì la parte migliore di me? La parte che resta?
Il mio viaggio in Bielorussia si apre come un gran salto nel vuoto. Davvero non so spiegare bene quel misto di eccitazione e timore con cui mi sono svegliata il 24 mattina. Ad ogni modo, mi alzo e faccio colazione con Red e Piffero ( evito il caffè apposta, per cercare di riposare ancora un po’ in macchina e non tendere subito i nervi) e insieme aspettiamo Saverio che arriva verso le 6.15. Si parte alle 6.30. Il viaggio è molto tranquillo. Arriviamo a Orio al Serio anche un po’ in anticipo e tutto fila liscio, anche se l’aereo non mi piace particolarmente ( per fortuna c’è Red che lacrima dal ridere nel vedere la mia faccia mentre decolliamo e per fortuna ci sono le facce di quelli seduti vicino a noi, che non capiscono come sia possibile ridere così di me. Così rido anch’io). L’arrivo a Gomel è strano. Mi aspetto uno scossone emotivo che non arriva. E’ vero: c’è qualcosa di diverso e le divise mettono un po’ d’ansia. Ma è ancora tutto indefinito, solo una landa desolata ( particolarmente simile a certi scorci della pianura padana) e un piccolo aeroporto spoglio. E’ cambiato il Paese ma non l’ ambientazione e Gomel deve ancora stupirmi. Conosco Irina poco dopo e la prima cosa che penso è che è bellissima e che le arrivo a metà schiena. Sono alte le donne bielorusse. C’ e anche Sergej, il nostro autista e dopo aver sistemato i bagagli nel furgoncino rosso ( che promette bene) partiamo tutti insieme verso il nostro appartamento a Reciza. Mentre viaggiamo continuo a pensare che il paesaggio mi ricorda casa mia. E anche questo è un buon segno. La povertà di questi luoghi mi si manifesta la prima volta quando metto piede sulle scale e nell’ ascensore del nostro condominio: sembra un palazzo abbandonato a guardarlo da qui. Quando entro in appartamento ho la sensazione di essere nel cast di Goodbye Lenin e, a dirla tutta, questa cosa mi piace, anche se pensare che quella sia la normalità delle case di Reciza e Gomel non è per nulla divertente. Siccome siamo affamati ed è tardi, posiamo i bagagli di fretta e andiamo al ristorante, cioè, a un ristorante-night o una cosa simile, in cui a me e Piffero viene chiesto il passaporto per entrare ( con questa cosa convivo da anni, ma va bene, mi fa ancora più clown). Durante la serata capisco 3 cose: che i bielorussi bevono tanta vodka, che la cucina locale è buonissima e che Irina ha una santa pazienza ed è una grande donna.
Torniamo a casa dopo una bella serata e ci mettiamo a letto. La coperta è una sola e un po’ strappata e le lenzuola sono singole anche se il letto é matrimoniale. Penso che è incredibile vedere una situazione così diversa a tre ore d’aereo da casa mia. Penso che sono davvero piccola e del mondo non so nulla. Mi ritorna quella strana sensazione di paura e eccitazione: domani sveglia alle 8.00..e poi Babici.
2° giorno – Babici
LUNEDI’ 25 APRILE 2016
A Babici veniamo accolti dal direttore: Gregory Popovich.
Sembra una persona per bene e ha lo sguardo buono. Ci accordiamo un po’ su come pensiamo di organizzare le giornate e sui laboratori nelle varie classi. Ci accompagna in una sala grande che fa da piccolo teatro per la nostra presentazione e uno spettacolino che abbiamo preparato in Italia. Sono agitata perchè odio il palcoscenico e non mi sento capace. Ad ogni modo lo spettacolo finisce e i bambini sono divertiti. Io comunque ho voglia di uscire di lì e iniziare a lavorare individualmente.
Partiamo con la prima classe: quella dei più piccoli. Veniamo accompagnati al piano superiore e la sensazione che ho è di essere trasportata dalle mie gambe quasi per inerzia, senza sapere bene perchè. Greg ( alla fine lo chiamavo così per comodità e perchè mi piace di più) ci chiede come mai secondo noi i muri sono pitturati di colori diversi e Red risponde quello che pensiamo tutti: è più allegro per i bambini. Ci spiega che se un muro viene colorato a macchie di colore, se ci sono lavori da fare o si rovina, si può comprare solo una piccola quantità di un colore a caso, invece di tanta vernice di un colore in particolare. Costa meno. Finalmente arriviamo nella prima camera. L’impatto è forte: un gruppo di cuccioli d’uomo belli come il sole si illumina solo perchè siamo arrivate noi; ci corrono incontro, ci abbracciano, “a gratis” come si dice nel gergo giovanile. So di non spiegarmi bene, non è facile, anzi è impossibile spiegare a parole quello che ho sentito. Lo sapevo già che ci sono nel mondo degli orfanotrofi in cui i bambini vivono con poco o nullo affetto e nella povertà e che sono bambini speciali perchè gli basta poco per sorridere..lo sapevo..ma saperlo non è sentirlo. Entrando in quella stanza ho sentito tutto questo. Ho sentito quanto valevo per loro in quel momento. E non valevo tanto semplicemente perchè ero buffa e colorata. Valevo tanto perchè li abbracciavo, gli davo attenzione, li coccolavo, li guardavo. L’impatto è forte e mi spiazza. Cerco di pensare a cosa fare, all’organizzazione, al gioco, ma mi sento bloccata da queste emozioni. Ci vado piano. Cerco di capire la situazione e di capire me stessa nella situazione. Tutto troppo strano, troppo forte, troppo bello. Tutti i bambini giocano con noi e ridono di quella risata piena e limpida che fa trasparire tutta la loro genuinità, la loro verità e la loro voglia d’affetto. Tutti, tranne una: Alina, una bambina di 5-6 anni credo, con la sindrome di Down, non vuole essere avvicinata, toccata, non vuole giocare. Decido che voglio provare a sbloccarla, ma non so come fare. Piffero le mette vicino dei giochi suggerendo che magari intanto avrebbe iniziato a giocare da sola, mentre noi ci buttiamo in un festival di marionette, occhiali, colori, abbracci e baci con gli altri bambini. Ogni tanto cerco di farla venire verso di me, ma niente… Ad un certo punto prendo dei pennarelli con la punta a stampino e inizio a fare stampini sugli altri bambini vicino ad Alina; sui nasini faccio stampini a cuore e a stella. Incredibilmente anche Alina me ne chiede uno sul naso, ma dopo averglielo fatto mi allontana con la mano. Torno a giocare con gli altri. Passa un po’ di tempo così, e dopo un po’ noto che Alina non è più seduta sulla stessa sedia, ma si è alzata e sta giocando lontana da tutti con un nastro rosso. Allora mi avvicino e provo a giocare con lei. Magicamente inizia a giocare con me e ancora più magicamente dopo poco tempo ha le braccia intorno al mio collo. Magico é l’aggettivo giusto. C’e della magia in quest abbraccio e c’è purezza e calore e colore e luce. Da allora non smette più di abbracciarmi e di stare con me. Inizia la pausa pranzo e me ne vado di fretta, perchè quando ci si deve muovere, in Bielorussia tutto viene fatto in modo frenetico. Difficile per le mie gambe corte stare al passo veloce delle tate. Penso al viso triste di Alina mentre la saluto e mi sento triste e in colpa. E’ durato troppo poco il nostro incontro.
Il direttore ci porta in una specie di salottino con un tavolo e delle sedie di legno vicino a una cucina. Ci spiega che avremmo mangiato insieme quel giorno e ci offre questa specie di breakfast fatto di dolci al burro, salame, formaggio, pane e the, il tutto accompagnato da bicchierini di vodka che si riempiono quasi di continuo. La faccia di Saverio che vuole scamparla raccontando che in passato è stato male con la vodka e quella di Piffero che al massimo riesce a bere qualche goccia di crema di limoncello mi fanno morire dal ridere. Io mi guadagno l’appellativo di “vera donna bielorussa” e mi fa molto piacere. Si, la vodka bielorussa mi piace da matti. Durante il pranzo parliamo con Greg del nostro progetto di M’illumino, di cosa facciamo nella vita, e appreziamo la sua schiettezza quando chiede: “ma fate solo chiacchiere come altri o volete portare davvero questi bambini in Italia?”. Gli rispondiamo che non possiamo prometterglielo ma ci avremmo provato.
Dopo la pausa veniamo accompagnati in un’ altra stanza. Qui i bambini sono un po’ più grandi ma la reazione è uguale: per loro siamo fantastiche e io non riesco a non perdermi in quegli sguardi stupiti e grati, tanto che faccio fatica a gestire l’insieme delle cose e non riesco a ricordarmi che Saverio sta facendo un video e io dovrei rimanere davanti alla videocamera. Cerco di lavorare comunque sul contatto: metto il telo-paracadute colorato di Red in mano a uno dei più grandini e con lui cerco di imprigionarci qualcuno dei suoi compagni e con la scusa si finisce tutti a terra a strapazzarsi di coccole. Vedo che anche quando io mollo la presa e non gli indico più chi “catturare” col telo, lo fa da solo, arriva alle spalle di uno dei più piccoli e lo abbraccia da dietro con il paracadute e allora tutti si rotolano in terra. Fantastico. Cerco di fare il gioco del Twist con Rosi e altri due bambini, ma la piramide crolla in fretta e cambio rotta, torno sul contatto individuale con marionette, palloncini, timbrini e faccio il gioco del sacco-scambio con tre bambini: riesce e loro si tengono per mano e sorridono. Conosco Igor, un bambino che parla un po’ di italiano, che mi dice subito che vuole tornare in Italia. Se, ora che sono tornata a casa, ripenso a Babici, lui è uno dei volti che mi viene in mente immediatamente. E’ uno di quelli con cui ho avuto la sensazione di trovarmi in modo naturale. Ciao Igor, spero che tu mi stia pensando come ti penso io.
L’ora e mezza qui passa in fretta e l’autista ci sta già aspettando fuori. Nel furgoncino ho un misto di emozioni diverse, ma non riesco a pensare molto perchè sono esausta e ho bisogno di staccare il cervello. Arriviamo al supermercato per prendere acqua e cibo per i prossimi giorni. E anche qui senza Irina saremmo persi, dato che ci traduece ogni cosa che le chiediamo per capire cosa comprare. Grazie Irina, non ti abbiamo mai vista stanca anche dopo intere giornate di lavoro.
A casa l’addetta alla cena è Red: ci cucina una pasta tipica e pollo con cavolo ( l’avevamo preso come insalata ma siamo tre geni e non ci siamo accorte per tempo che anche se era comunque verde non era lattuga!). Con Saverio scopro che c’è un supermercato anche sotto casa nostra e ci compriamo delle birre tipiche. Ceniamo, parliamo di religione e massimi sistemi e andiamo a letto.
Sento un turbinio di emozioni: schifo per le ingiustizie, tristezza per la loro condizione, ammirazione per la loro forza e il loro coraggio, senso di gratitudine per la fiducia che ripongono in me. Ma non ho ancora la sicurezza di saperci fare, di fare le cose giuste, di piacermi. Penso che avrei potuto fare di più, che potevo essere meno bloccata o impacciata. Penso che devo lasciarmi andare. E mentre penso a tutto questo mi addormento esausta. Domani è un altro giorno.
3° giorno – Gomel
MARTEDI’ 26 APRILE 2016
Anche martedì partiamo verso le 9.00, ma questa giornata non è dedicata a Babici ma a Gomel, dove dobbiamo sbrigare altre commissioni.
Purtroppo piove a dirotto e so già che non riuscirò a godermi molto della città. Comunque, dopo una quarantina di minuti arriviamo e incontriamo Victoria e Natasha che conoscono già Red e la vogliono salutare. Ci incontriamo in un posto stranissimo: un pullman-bar gestito da un signore che ci offre il caffè e risponde a qualche domanda di Saverio. Ci fa vedere che ci sono delle panchine e una mezza auto attaccata al muro che fa da nuovo spazio fumatori. Se fumassi avrei provato a sedermici per una sigaretta. Dato il tempo orribile decidiamo di prendere un the al chiuso e andiamo a vedere un negozietto di roba fatta a mano da piccoli artigiani: è pieno di cose bellissime! Compro una collana che ha un ciondolo con la Luna in rilievo; per me la luna ha un significato importante: la collego al guardare il mondo da una prospettiva superiore. Prendiamo una tisana buonissima, di cui ci spiegano la lavorazione, insieme alla proprietaria del negozio. Ci raggiunge anche Hariton, il figlio di Natasha, un metro e novanta di Mr Gomel, e si chiacchiera di usi e costumi, di cibo, della vita dei giovani. L’atmosfera è distesa. Su proposta di Hariton, prendiamo un bus che ci porta di fronte a un palazzo di 12-13 piani e saliamo fino alla terrazza per vedere Gomel dall’alto: uno spettacolo. Le emozioni sono rese più vere dal fatto che il palazzo non ha ovviamente nulla di turistico, anzi, non ha neanche delle ringhiere di protezione e per le scale ci si può fare male. Mi sembra davvero di essere in un film vecchio in cui la banda di scapestrati entra illegalmente in un palazzo abbandonato per sentirsi rivoluzionaria. Da quassù il cielo sembra più vicino.
Ci salutiamo con la promessa di rivederci presto e io, Red, Piffero, Saverio e Irina cerchiamo un posto in cui mangiare. Se non ho capito male Red ci porta in un posto che ha conosciuto l’anno prima: una specie di pub-trattoria-mensa in cui fai la fila col vassoio e scegli le portate. Tutto buonissimo. Risvegliamo Saverio che riesce ad addormentarsi ovunque e in ogni posizione, prendiamo un caffè e partiamo verso un centro commerciale in cui, dopo una serie di “su e giù” compriamo tre computer che portiamo all’istituto di bambini sordi di Gomel. Qui conosciamo Olga, che ci porta in una classe in cui facciamo un intervento breve. Noto che rispetto ai bimbi di Babici ( sarà anche per il fatto che abbiamo avuto poco tempo) questi bambini sono più giocherelloni e scatenati ( non fraintendete, sono sottigliezze, gli abbracci e i baci arrivavano lo stesso, solo che in alcuni momenti a Babici ho avuto proprio l’impressione che il gioco passasse molto in secondo piano e che si potessero passare anche due ore esclusivamente stretti in un abbraccio silenzioso), facciamo palloncini e giochiamo insieme. La nostra attenzione viene catturata soprattutto da un bambino più scontroso. Io non capisco che cosa mi dice, gli do un palloncino a forma di cane ( scopro dopo che voleva una spada) e lo butta via spingendomi. Red lo prende in braccio e lui si divincola tirando sgambate. Peccato che il tempo è poco e dobbiamo scappare, creare un rapporto con quel bambino poteva essere la nostra sfida del giorno. Ad ogni modo la campana suona e noi lasciamo l’istituto accompagnati da Olga che ci porta a fare una sorpresa a Iliuba, un’altra signora che conosce Red: Ci fa vedere la casa e rilascia una piccola intervista a Saverio sul disastro di Cernobyl. Noi tutte percepiamo la difficoltà nel raccontare le conseguenze del disastro. Ci sentiamo impotenti.
L’ultimo nostro compito è portare una lettera di Federico al centro diabetici, perciò salutiamo Olga e Iliuba con un abbraccio e ci dirigiamo verso il centro. Qui ci accolgono con entusiasmo Raissa e le altre meravigliose donne che gestiscono la struttura. Ci offrono dolci e the e Red legge la lettera per loro da parte di Nuvola. Entusiaste, ci fanno vedere le foto della consegna delle striscette ai bambini diabetici. L’atmosfera si fa più triste quando Saverio ci chiede di fare silenzio mentre intervista le fondatrici del centro. Raissa racconta del figlio malato di diabete e di sclerosi multipla, dei bambini che non hanno abbastanza striscette per controllare la glicemia, di quelli che hanno seppellito, delle radiazioni, dei tumori e delle malformazioni, dell’importanza per questi bambini di venire in Italia a disintossicarsi. Tutta colpa di Cernobyl, tutta colpa dell’uomo. Sento rabbia e tristezza e piango. Sono le mie prime lacrime nella missione.
Si è fatto tardi e dobbiamo tornare a casa. Nel viaggio di ritorno non ho molta voglia di parlare. Arriviamo in appartamento stanchi, cerchiamo di rilassarci mangiando qualcosa, chiacchierando e poi pensiamo al giorno dopo a Babici: è la giornata dei colori!
4° giorno – la giornata dei colori
MERCOLEDI’ 27 APRILE 2016
Decidiamo di riposare un’ora in più.
Arriviamo a Babici per le 11.00 col materiale per colorare e delle storie da leggere. Veniamo portati in una classe con bambini intorno agli otto anni e io leggo una storia sugli animali che deve servire da introduzione per disegnarli e colorarli con tempere, spugnette e stampini. La storia non piace e io penso: “Ok, lasciamo perdere le storie!”. Si parte quindi coi colori, disegni e tempere e i bimbi sono felici. Ma il nostro obiettivo solito è sempre il contatto fisico e prenderci a pieni polmoni i loro abbracci e baci. Non ho mai ricevuto così tanto affetto tutto insieme in tutta la mia vita. Regaliamo delle matite colorate, quattro per uno. Piffero mi dice che una bambina era contentissima perchè secondo lei erano tante! Come ogni volta, quelli che attirano la mia attenzione sono i bimbi che stanno più in disparte, i più silenziosi e anche qui ne trovo uno: ha gli occhi scuri e un po’ strabici, è seduto da solo ed è la dolcezza fatta a persona. Mentre gli altri sono intorno a Red e Piffero a saltellare felici, lui mi prende il braccio per farmi vedere che non solo ha colorato quello che abbiamo detto noi, ma ha disegnato Spiderman su un altro foglio copiandolo da un astuccio. Mi sorride e io mi siedo vicino a lui e rimaniamo abbracciati per qualche minuto in silenzio.
Salutare la classe è sempre difficile, perchè le facce dei bambini si rabbuiano e tu vorresti non lasciarli così. Facciamo un abbraccione collettivo e andiamo verso un altra classe. Qui sono più grandi, perciò i colori e i disegni servono solo come sottofondo e cerchiamo subito di sederci con loro e rompere il ghiaccio. Due ragazzine sedute in prima fila sono meravigliose: una si chiama Dasha e ci regala i suoi disegni bellissimi. I loro abbracci spontanei sono diversi da quelli dei più piccoli, che sono più gioiosi. Con loro, soprattutto con Dasha che non mi abbraccia col sorriso, ho la sensazione netta che mi dicano: portami con te. Un altra bimba dolcissima è seduta da sola e ride guardandoci, ma da lei, anche se ci provo e ci riprovo, non riesco ad avere un contatto e mi dispiace tantissimo, però sono contenta che sia emozionata e felice. Le siamo arrivate comunque. Mi ricordo anche benissimo di Viky, la più grande della classe, e di “ragnatela” ( lo chiamo così perchè non so il nome, ma Red gli ha disegnato una ragnatela vicino all’occhio sinistro), il ragazzino più grande, meno espansivo, con cui però Red riesce a giocare.
E’ tempo della pausa e noi salutiamo anche loro. Raggiungiamo il direttore: è arrivato il carico di detersivi e dentifrici da M’illumino. Prima di aiutare a scaricare mi guardo intorno: sono tutti entusiasti e a Greg brillano gli occhi e brillano anche a noi. Siamo tutti commossi e Greg non sa come ringraziarci. Non sa che neanche io so come ringraziare per tutta l’emozione che provo in quel momento. Do una mano a scaricare insieme alle altre claune e ai ragazzini più grandi e me ne vado dall’ufficio del direttore carico di detersivi e dentifrici, il nostro regalo per loro, apprezzato molto più di quanto io apprezzi il mio regalo di Natale. Greg ci avvisa che il giorno dopo i bambini si sarebbero esibiti in uno spettacolo per noi e noi siamo entusiaste. Nel pomeriggio veniamo portati in una specie di laboratorio in cui ragazzini più grandi e insegnanti fanno cose magnifiche! Altro che i lavoretti che mi facevano fare alle elementari! Qui le cose cambiano un po’ perchè ci sono tanti ragazzini più grandi, ed è bello perchè i maschietti di 13 anni si vergognano un po’ a farsi vedere dagli amici a dare bacini a tre claunesse. Però alla fine non abbaimo dovuto fare molti sforzi per prenderci anche le loro coccole! Io mi approccio come la smorfiosa che vuole il baciamano e i baci sulla guancia e funziona, perchè alla fine, con la scusa di rubarmi il cappello, mi abbracciavano loro, e siccome son più grandi stringono di più. Penso proprio che in quegli abbracci sento tutto l’amore di cui hanno bisogno le persone in generale e i bambini in particolare. Penso che è così facile.
L’ultima stanza della giornata è riempita da bimbi più piccoli. Fatico a gestirli tutti. Per fortuna Saverio inizia a dare spettacolo e scopriamo che è un vero clown! Giochiamo tutti insieme e concludiamo la giornata col tiro alla fune.
Anche per oggi il tempo è concluso e Sergej ci aspetta in macchina con moglie e figlie troppo carine. A casa decidiamo che il giorno dopo, che era l’ultimo, avremmo dovuto lasciare un messaggio per loro. Vado a letto pensando che l’ansia di non essere all’altezza della situazione è passata. Che per quei bambini valgo qualcosa che va oltre lo spettacolo. E va benissimo così.
5° giorno – l’ultimo giorno
GIOVEDI’ 28 APRILE 2016
E’ il nostro ultimo giorno a Babici e cerchiamo di concentrarci sul fargli capire che devono sforzarsi di mantenere quel calore tra di loro, anche dopo la nostra partenza. Che devono coccolarsi e darsi forza come hanno fatto con noi.
La mattina aspettiamo lo spettacolo che hanno preparato per noi insieme a Maria, la moglie del direttore, e Vera, una ragazzina di 15 anni che ogni estate va a Forlì e che sogna di andare dalla “mamma italiana” una volta compiuti 18 anni e di fare la parrucchiera come lei. E’ bello sapere che con molta probabilità sarà proprio così. Durante la ricreazione ci troviamo a passare per i corridoi fino a uno spazio ampio centrale dove scopriamo che i bambini fanno ginnastica guidati da ragazzini più grandi che eseguono i movimenti. Ci vedono e ci corrono incontro. Ci abbracciamo tutti insieme. Alzo lo sguardo e vedo Alina al lato opposto della stanza. Anche lei mi vede e mi corre incontro. E’ il regalo più bello della giornata.
Vera rimane con noi tutto il giorno per darci una mano con la traduzione, siccome Irina sarebbe tornata solo nel pomeriggio, e insieme a lei e a Maria, visitiamo la stanza dei lavoretti: lavoretti è riduttivo, per me sono vere opere d’arte.
Verso mezzogiorno ci dirigiamo in teatro e lo spettacolo che hanno preparato per noi è meraviglioso! Ammetto di essermi un po’ vergognata del mio e sorrido tra me e me. Facciamo la solita pausa pranzo e approfittiamo di un po’ di tempo per giocare con un gruppo di bambini fuori. Non giocavo a palla da anni ed è stato stupendo! Mi sentivo una di loro. Ritorniamo in teatro dove li salutiamo con un discorso di ringraziamento tenuto da Piffero, facciamo degli esercizi sull’abbraccio e dei mega “girotondo abbracciosi”, Finiamo urlando tutta l’energia che abbiamo dentro; non ci sono ruoli, non ci sono differenze, loro sono clown e noi bambini. Ci sentiamo un tutt’ uno.Sento la differenza nel io approccio alla situazione rispetto ai primi giorni. L’atmosfera è talmente gioiosa che sento una grande energia positiva dentro di me. Sembra una festa.
Concludiamo la giornata regalandogli un palloncino a testa. La cosa che mi ha fatto più piacere è stato vedere come i ragazzi più grandi mi abbracciavano spontaneamente per salutarmi. Come ho detto prima, i loro abbracci sono diversi da quelli dei più piccoli. Sergej, un ragazzino di 15 anni, mi guarda e mi dice in italiano: “Grazie Pluffa”… Grazie e te, piccolo uomo dagli occhi dolci.
Torniamo a casa dopo avergli detto che il giorno dopo saremmo passati la mattina a lasciargli dei pensieri e per un saluto veloce. Sono felice. Sento che gli ho lasciato qualcosa. Sento che mi hanno lasciato tanto. Sento che ogni essere umano ha in se un grande potere. Siamo tutti più rilassati, mangiamo al ristorante con Victoria, Natasha e Hariton che ci vogliono salutare. Red ringrazia con un discorso e Victoria si commuove. Io abbraccio tutti perchè l’abbraccio è troppo bello. Ormai ci ho preso gusto!
Vado a letto un po’ triste perchè il viaggio è già finito, ma felice per quello che mi ha lasciato.
6° giorno – saluti e ritorno in Italia
VENERDI’ 29 APRILE 2016
Torniamo a Babici per un saluto di corsa.
L’idea è di passare in ogni classe a lasciare un qudrettino e una calamita come nostro ricordo e come ricordo dei consigli che gli avevamo dato il giorno prima. Purtroppo non riusciamo a passare in tutte le classi. Il tempo stringe e l’aereo non aspetta. Per fortuna una delle classi in cui riusciamo a salutare i bambini è quella di Alina. E’ triste perchè andiamo via e sta di nuovo un po’ sulle sue. Penso che non riuscirò a salutarla come vorrei, invece mi abbraccia e a me scende una lacrima. Ti voglio bene Alina. Riusciamo a ballare con altri bambini all’aperto, durante la loro ricreazione e ad abbracciarci tutti di nuovo.
E’ tempo di salutare davvero adesso. Ci dirigiamo verso il nostro furgoncino e ci giriamo verso l’istituto: i meravigliosi bambini bielorussi ci guardano dalle finestre e di colpo la felicità se ne va. Rimane la tristezza perchè non vorresti lasciarli. Rimane il senso di colpa perchè tu sei libera di tornare a casa dai tuoi e non fatichi a comprarti il dentifricio. Rimane la rabbia perchè tutto questo non è giusto.Torniamo a casa consapevoli di tutte le cose belle che ci siamo scambiati, ma i nostri cuori sono tristi. Sarà difficile tornare alla quotidianità, perchè la sensazione è quella di aver lasciato un mondo in cui traspare l’essenza dell’ essere umano con grande facilità e sai che non ti succede in un contesto diverso come in Italia.
A Bergamo decido di rimanere dai miei. Li abbraccio appena li vedo e quella notte mi addormento con mia mamma. La mattina dopo mi sveglio pensando a loro. Penso anche a Irina. Non ne ho parlato molto nel mio report ma è una donna fantastica. Sono molto felice di averla conosciuta.
Ringrazio M’illumino per l’opportunità di questa esperienza e perchè insieme siamo riusciti a fare arrivare un grande aiuto materiale a quelle persone. Ringrazio Red perchè ha organizzato tutto e mi ha insegnato molto. Ringrazio Piffero per aver condiviso con me anche questo viaggio. Ringrazio Saverio per averci accompagnato e per i momenti condivisi. Ringrazio Irina perchè senza di lei non saremmo stati in grado nemmeno di fare la spesa o mangiare fuori casa e per quello che ci ha detto quando ci siamo salutati.
Ringrazio i bimbi di Babici. Vorrei che sapessero che prima di partire i miei amici mi chiedevano come avrei fatto a comunicare con loro, data la lingua diversa.
Sento di non aver mai comunicato così tanto in vita mia.